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Venerdì 25 Marzo ci siamo ritrovati a Rovello per il nostro numero-zero di abbinamento whisky e musica. E' stata una sfida che abbiamo accettato volentieri e che - nonostante i timori della vigilia - pensiamo di avere degnamente onorato.
Non so come sia potuto accadere, ma anche questa missione è compiuta con successo. Questa volta non ci siamo impegnati nella solita degustazione ma ci siamo lanciati in un qualcosa di unico, di non semplice realizzazione, che si è potuto realizzare solo grazie all'unione di tante energie positive.
L'idea di abbinare il Blues al whisky ci è venuta nel 2010 durante la visita Slow Food sulle Ebridi esterne da noi organizzata. Tra i compagni di gita c'erano Eleonora e Matteo, voce e chitarra del gruppo Blue Revue, band che dal 2004 percorre la strada del Blues.
Il Blues, come pochi altri generi musicali, è alla radice della musica contemporanea. Chi interpreta Blues non si può limitare solo a suonare e a cantare, deve immedesimarsi con gli auturi; i "maestri", i "padri" del Blues hanno aperto le porte di un mondo nuovo e spesso (sempre) hanno avuto l'esistenza tribolata di chi sta sperimentando nuovi percorsi creativi.
E cosa c'entra il whisky con tutto ciò? E' difficile da dire, avrebbe potuto essere un semplice compagno della nostra serata, ma abbiamo invece scoperto che i due mondi hanno molte affinità. Non è possibile ascoltare Blues senza stabilire un legame diretto con gli auturi, così come non ha senso bere un Single Malt senza conoscere la distilleria e la tradizione della cultura Scozzese. Poi c'è in comune anche quel senso di malinconia e di intimo edonismo. Chi "beve" un Single Malt non lo fa per il desiderio di tracannare una bevanda alcolica in compagnia (magari alcuni cocktail a base di rum funzionano meglio ma non voglio scatenare guerre)
Poi il Blues è il Blues; nato nei campi di cotone dove gli schiavi Africani hanno saputo miscelare le tradizioni della loro terra di origine con la loro tormentata esistenza ed il quotidiano dolore. La musica, come spesso l'alcool, erano la medicina con cui riuscivano a curare la loro tristezza esistenziale. La tecnica usata nelle canzoni Blues è spesso quella ripetitiva delle work songs, delle canzoni che si intonavano nei campi per accompagnare e dare il ritmo ai noiosi lavori ripetitivi.
Il risultato di questo nostro impegno è stata una bella serata (non lo diciamo solo noi!) che ha visto la presenza di circa 50 persone, almeno il doppio delle più rosee previsioni. Con grande piacere abbiamo registrato più amici di I love Laphroaig e del forum SingleMaltWhisky.it che Rovellesi. Segno che stiamo lavorando bene e che stiamo catalizzando gli interessi di un gruppo crescente di persone.
Troppe parole, come al solito....
Qualcuno che suona: Matteo Sanfilippo riscalda le mani prima dell'inizio della serata |
Qualcuno che canta: Eleonora D'Onofrio che riscalda la voce (a modo suo...) |
La più popolare cantante Blues e Jazz degli anni '20 e '30, è stata soprannominata l'Imperatrice del Blues per la sua voce elegante ed imponente. La sua carriera è sempre stata segnata da relazioni amorose burrascose, da dipendenza da alcool e da droghe, e viene descritta come una persona forte, aggressiva, con un carattere non proprio semplice. Eleonora e Matteo ci hanno proposto:
A Bessie Smith abbiamo pensato di abbinare un Bourbon Whiskey, un Woodford Reserve (No Age, 45.2%). Volendosi differenziare dalle altre distillerie Americane - decisamente di scala industriale - Woodford Reserve è una delle poche a mantenere lo stile artigianale Scozzese. Utilizzano i classici alambicchi anziché i distillatori a colonna, e producono il loro Bourbon solo in piccoli lotti, indicando sulla bottiglia il numero di lotto e numerando singolarmente ogni bottiglia. Un dram dal carattere deciso, tipico del Bourbon, dolce di caramella mou ma decisamente più complesso rispetto a molti altri whiskey americani in circolazione.
Siamo poi passati a chi ha interpretato il Blues con tecniche più moderne, trasferendo il contesto dalle coltivazioni di cotone agli angoli di strada delle chiassose e disordinate città. Il Blues doveva quindi diventare più "rumoroso". Muddy Waters (letteralmente acque fangose...un nome, un programma) ha introdotto la chitarra elettrica nel Blues e, in un contesto in cui la sofferenza dei campi era percepita come molto lontana, suonando era allora possibile divertire. Eleonora e Matteo ci hanno proposto e commentato:
A Muddy Waters abbiamo abbinato un Balblair Vintage 1989 (20 anni, 43%). La distilleria, che ho recentemente visitato, produce uno dei migliori whisky delle Highland ed ha fatto la scelta di imbottigliare solo vintage. Per ogni lotto di produzione, il distillery manager può così scegliere il meglio delle botti a sua disposizione, non dovendo tutte le volte "ricostruire" lo stesso aroma. Il Balblair Vintage 1989, che si è sicuramente distinto come il migliore dram della serata, ha dimostrato avere note decisamente più sofisticate rispetto al precedente Bourbon. La componente dolce di miele complesso ben si accompagna a note fruttate (frutta gialla), floreali (petalo di fiore rosso) ed erbacee (con traccia di truciolo di legno). Tutti siamo rimasti stupiti dal piacevolezza in bocca (con le sue note speziate di cannella e di tè) e dal lungo ed armonico finale.
Dopo aver fatto questo breve ma intenso percorso nella storia del Blues, abbiamo sentito la necessità di tornare alle sue origini. Non potevamo che parlare di Robert Johnson, definito il padre del Blues e di buona parte della musica moderna, nonché assegnato in quinta posizione dalla rivista Rolling Stone nella lista dei 100 migliori chitarristi dell'intera storia della musica. Anche le sue origini sono segnate dal dolore: dopo aver perso la moglie sedicenne - morta nel dare alla luce il figlio - Robert inizia a vagare senza meta tra le città del Mississipi, diventando un donnaiolo ed un forte bevitore. La leggenda narra che Robert abbia stretto un patto direttamente con il demonio, vendendogli la sua anima in cambio della capacità di saper suonare la chitarra come nessun altro al mondo. Morì molto giovane - a soli 27 anni - nel mistero: "qualcuno ricorda che fu pugnalato, altri che fu avvelenato; che morì in ginocchio, sulle sue mani, abbaiando come un cane; che la sua morte aveva qualcosa a che fare con la magia nera".
Ad un tale artista non si poteva che abbinare un Laphroaig 10 anni (40%) che con il suo gusto affumicato, caldo, penetrante è quanto di più simile a Robert Johnson si possa immaginare. Di questo dram dovremmo sapere già tutto, pur essendo l'imbottigliamento base della distilleria ci stupisce sempre il suo estremo equilibrio tra le componenti torbate, quelle marine (alga, brezza marina, ostrica) e le indispensabili note dolci (vaniglia, frutta tropicale).
Nei prossimi giorni dovremmo riuscire a pubblicare un piccolo filmato della serata.
La parola Laphroaig è ripetuta in questo sito per alcune centinaia di volte.
Trova un punto in cui è scritta in modo errato, segnalacelo, e riceverai una mignon di Laphroaig 10yo in omaggio!
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WhiskyClub ItaliaScritto da Claudio Riva il 18/10/2014Leggi tutto... |