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Ritorniamo a parlare dell'impatto della grande industria sul mondo del whisky. Ogni tanto arrivano notizie positive, sorprende un po' quando giungono dagli Stati Uniti.
Non solo. L'industria ha introdotto grandi e veloci macchinari dedicati alla produzione completamente automatizzata della pasta; la necessità di non avere intoppi, fermi macchina, ha portato ad aggiungere degli ingredienti chimici all'impasto che nulla hanno a che fare con quello che ci si aspetta di trovare nella pasta, ma che hanno l'unico scopo di rendere la sfoglia più lavorabile e più resistente. Il risultato è che la pasta industriale oggi è perfetta alla vista, ha tutte le forme più impensabili, ma semplice non ha più nessun gusto. Provate ad acquistarla per una volta dal vostro negozio di pasta fresca sotto casa per riscoprire il gusto perduto.
Sì, il laboratorio di pasta fresca sotto casa è il ritorno al laboratorio artigianale. Lavora l'impasto in modo tradizionale, anche se può essere "contaminato" dall'esperienza fatta dall'industria. Rappresentanti girano in lungo ed in largo l'Italia offrendo dei prodotti da aggiungere all'impasto per renderlo più "bello". Per una piccola realtà avere certezza di ottenere un prodotto "standard", non soggetto a variazioni a seconda delle condizioni climatiche, che sia facilmente lavorabile e con un migliore risultato estetico spesso può portare ad intraprendere questa scorciatoia. E allora tutto ritorna sotto il controllo delle solite multinazionali che possiedono i brevetti ... e la pasta ritorna senza sapore.
Ma cosa c'entra tutto ciò con il mondo del whisky? Semplice, il suo processo produttivo ha subito la stessa evoluzione. Il whisky veniva in origine prodotto a livello domestico, per consumo famigliare. Poi le aziende agricole nei fortunati anni di elevata produzione di cereali hanno pensato bene di non buttare via questo eccesso ma di trasformarlo in un prodotto che durasse nel tempo e che fosse facile moneta di scambio per avere altro materiale o manodopera. Erano così nate le prime distillerie, estremamente artigianali, e che distillavano non perché conoscessero il processo chimico alla perfezione ma perché qualcuno (il mastro distillatore) aveva acquisito l'esperienza da suoi predecessori, magari apportando sue personali piccole migliorie. Poi si è passati all'industria, ai laboratori chimici che studiano tutto il processo dal chicco d'orzo al distillato, ai super-efficienti impianti automatizzati che hanno come unico scopo quello di ottimizzare i litri di alcool ottenuti da una tonnellata di malto. Intendiamoci, tutto questo non è sbagliato, ma ha portato nel corso dei decenni ad individuare un'unica strada, la più efficiente che portasse alla produzione di spirito. E se tu distilleria puoi arrivare al tuo obbiettivo spendendo 90 anziché 100, prima o poi sarai costretta dal mercato ad intraprendere anche tu la strada della modernità. Il risultato è che dopo 100 anni tutte le distillerie usano lo stesso orzo, gli stessi lieviti, lo stesso sistema produttivo, le stesse botti. Il whisky si è livellato su una qualità medio-alta ma il gusto si è impoverito ed uniformato tra tutte le distillerie.
Ma oggi si respira un po' di aria nuova anche nel mondo del whisk(e)y. In Scozia poco sta accadendo. A parte Springbank - unica distilleria a non avere mai intrapreso la strada della modernità - pochi sono i progetti per la creazione di piccole distillerie artigianali. Alcune sono già operative come per esempio Kilchoman su Islay, Abhainn Dearg sull'isola di Lewis e Daftmill nelle Lowlands - tutte e tre con una connessione diretta ad una farm o ad una comunità rurale. Altre si stanno pian piano costruendo come Annandale e Kingsbarns, entrambe nelle Lowlands. Ma il mercato è decisamente controllato dalle multinazionali e le capacità imprenditoriali dei giovani Scozzesi non sono probabilmente così abili, motivo per cui in Scozia non si respira "aria di rivoluzione".
Come è successo per i micro-birrifici, la risposta sta arrivando dagli Stati Uniti, probabilmente l'ultimo posto in cui potremmo ipotizzare un ritorno al passato. Date un occhio anche all'articolo di Davide - www.angelshare.it - negli ultimi anni in tutti i 50 stati USA il fenomeno delle micro-distillerie e della distillazione domestica ha avuto una incredibile impennata. Chi intraprende questa strada spesso è un giovane appassionato, magari questa non è la sua prima attività ma lo fa nei ritagli di tempo, certo è che la cultura della distillazione sta uscendo dai muri della mega-distillerie e si sta diffondendo tra la popolazione.
E' esattamente quello che è successo per i micro-birrifici, fenomeno nato negli USA e nel giro di una decina d'anni diffusosi in tutto il pianeta. Oggi in qualsiasi parte d'Italia è possibile trovare un micro-birrificio nel raggio di poche decine di km ed il fenomeno è ancora in crescita. La cosa più bella di tutto ciò è che oggi la competenza da mastro birraio non è più ristretta in un manipolo di poche decine di tecnici, ma si sta diffondendo in sempre più persone e - come ultimo effetto - anche nel consumatore che è adesso in grado di distinguere tra le qualità di un prodotto artigianale rispetto all'assenza di gusto della birra industriale. Poi non è tutto bello, alcuni micro-birrifici fanno delle birre orrende, altri non sperimentano ma come per i pasta fresca usano sacchi di malto e lieviti a "risultato certo", ma in tutto ciò direi che il buono è decisamente superiore al cattivo e che il tempo farà selezione.
Mentre in Italia ogni piccolo micro-birrificio tende a parlar male delle altre analoghe realtà artigianali, negli Stati Uniti c'è desiderio e necessità di fare gruppo. Buona parte delle micro-distillerie Statunitensi si sono riunite sotto un'unica associazione - l'American Distilling Institute www.distilling.com - fondato nel 2003 per promuovere il crescente rinascimento della distillazione artigianale. Nel 2003 negli USA+Canada erano registrate 69 licenze per la distillazione artigianale, attualmente sono 240 e si stima che entro il 2015 questo numero salga a 400-450. Non sono tutte distillerie di cereali, molte di loro distillano anche frutta, ma sicuramente la voce whisky costituisce una voce molto importante. Come cita il loro sito "in modo simile ai birrifici artigianali, le distillerie artigianali stanno producendo prodotti eccellenti che evidenziano l'autenticità ed il patrimonio storico-culturale delle comunità in cui prosperano; il turismo, lo sviluppo di piccole imprese, la nascita di professioni qualificate ben retribuite, il miglioramento dell'agricoltura ed il coinvolgimento delle comunità sono tutte caratteristiche del mondo della micro-distillazione".
La recente visita al festival di Lucerna ci ha permesso di toccare con mano questo fenomeno anche nella vicina Svizzera - dove si dice esistano già alcune decine di micro-distillerie. Ci giungono sempre più informazioni di piccole realtà Italiane che stanno rivolgendo la loro attenzione verso la produzione di whisky. Una distilleria dell'alta Valtellina, una del Garda che usa malto torbato grazie all'uso di torba locale, una in Friuli, il Piemonte non resterà sicuramente a guardare, sono tutte realtà che stanno già facendo maturare nei loro magazzino alcune botti di whisky e che quindi nei prossimi anni ci daranno la possibilità di poter tornare ad assaggiare il whisky Italiano. Non aspettiamoci che facciano un clone dello Scotch, non sarebbe possibile e non avrebbe neanche senso, quindi aspettiamoci un qualcosa di diverso, di più Mediterraneo...
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